Memoria significa riscatto

Come ogni anno compagni e compagne anarchic* hanno ricordato l'omicidio del compagno Franco Serantini, 
massacrato di botte nel 1972 a Pisa dalla polizia mentre si opponeva ad un comizio fascista. Quello che riportiamo è il discorso tenuto da una compagna
durante l'iniziativa.
La redazione web
Compagni e compagne, come ogni anno ci ritroviamo in questa piazza per ricordare il compagno Franco Serantini. E' proprio in questa piazza che si trova l'orfanotrofio in cui Franco venne a vivere non appena arrivato a Pisa. Era il 1968. La città, come il resto d'Italia e del mondo, era in subbuglio. Le occupazioni delle università e delle fabbriche erano all'ordine del giorno. Siamo in una fase di sovversione radicale di tutte le coordinate culturali, di rivolta contro l'autorità nelle sue molteplici forme. 
È in questo contesto che Franco arriva a Pisa ed inizia a seguire l'attività politica. Sono anni di rivolta ma anche di tensione. Ci sono gli scontri della Bussola nel capodanno del 1969. Ci sono le violenze dei fascisti che aggrediscono studenti e attivisti trovando rifugio, fisico e politico, presso l'MSI. Il 1969 è anche l'anno della Strage di Piazza Fontana, fatta dai fascisti e orchestrata dallo Stato, che apre alla strategia della tensione e alla persecuzione giudiziaria e mediatica degli anarchici.
E ricordiamo infatti l'uccisione del compagno Giuseppe Pinelli durante l'interrogatorio nella questura, da cui fu defenestrato e ucciso. Cercarono di depistare le indagini, di sostenere che si fosse trattato di un suicidio. Pinelli, come Franco, fu ucciso dallo Stato.
Con Piazza Fontana inizia anche l'accanimento da ogni lato, PCI compreso, contro il compagno Pietro Valpreda accusato per le bombe messe dai fascisti di Ordine Nuovo. In questo clima da caccia alle streghe che si respira negli anni a venire, Franco sviluppa la sua coscienza poltica e si avvicina agli ambienti anarchici. 
Da una parte la strategia della tensione dello Stato che mira a criminalizzare il dissenso politico, dall'altro le azioni dei fascisti che proseguono in un limbo tra l'aperto appoggio e la silente complicità.
Ricordare Franco significare ricordare un pezzo della nostra storia, uno storia che viviamo ancora, nella nostra quotidianità. Sono solo di pochi mesi fa gli attentati fascisti e razzisti di Macerata e di Firenze. 
Ricordiamo fin troppo bene le parole delle istituzioni e dei partiti politici. La destra che accusa gli immigrati e la sinistra di avere generato una tale situazione di malcontento che ha inevitabilmente provocato queste reazioni. Ricordiamo le parole di condanna di Nardella, sindaco di Firenze, verso ogni violenza, con le quali ha posto sullo stesso piano la violenza puntuale e sistematica sugli immigrati con il danneggiamento di due fioriere.
Ricordiamo anche le parole di chi, dopo aver quotidianamente generato una guerra tra oppressi, tra l'operaio licenziato bianco e il venditore ambulante nero, tra la precaria italiana e la badante dell'est Europa, tra l'italiano senza una casa e il rifugiato politico con lo smartphone e senza un tetto né un futuro, dopo aver criminalizzato la povertà rendendola una colpa del singolo, imponendo al senzacasa di mettersi ai margini della città, di non rovinare la nostra vetrina, di non farsi vedere finché non si chiude il sipario, ecco, eccole le loro parole di invito a porre fine alla violenza. Perché c'è una sola violenza che è legittimata dallo Stato, ed è quella pervasiva e sistemica degli oppressori. Ed ogni qualvolta ci si ribelli eccola arrivare la mano armata dello Stato. Ecco arrivare la repressione, i processi politici, la criminalizzazione. E come sempre quelli sotto processo siamo noi. 
Per ricordare quindi la necessità della nostra azione politica contro questo sistema, voglio usare le parole che lo stesso Serantini usò in un volantino in riferimento al processo a Valpreda: “responsabili dell'assassinio di Pinelli non sono solo i fascisti e qualche funzionario di Polizia. Il vero e principale responsabile che si è servito della mano criminale dei fascisti è lo Stato. Non esiste lo Stato reazionario che ha fatto la strage e lo Stato progressista che cerca la verità. Tutte le forze che gestiscono l'apparato statale, o cercando di conservarlo com'è adesso o cercano di razionalizzarlo, sono più o meno direttamente implicate nella responsabilità della strage.” Il volantino titolava “Trasformiamo il processo agli anarchici in processo allo Stato” ed era il febbraio 1972, gli ultimi mesi di vita per Franco. A Marzo viene ritrovato il cadavere di Giangiacomo Feltrinelli vicino ad un traliccio. Nel frattempo si avvicina la campagna elettorale, la DC rincorre i fascisti sul tema dell'ordine, un po' come il PD ai giorni nostri, e le violenze dei fascisti sono all'ordine del giorno. Per il 5 maggio viene organizzato un comizio elettorale di Giuseppe Niccolai, leader dell'MSI. 
I militanti convocano una manifestazione: i fascisti non devono parlare. Nonostante le preoccupazioni dell'allora sindaco e dei partiti di sinistra sulla piazza concessa all'MSI, imbrigliata tra una serie di vicoli e stradine che avrebbero reso pericolose le cariche della polizia, Niccolai parlerà e lo farà in quella piazza. È una giornata di scontri per tutta la città, e Franco verrà colpito sul lungarno Gambacorti e portato via, mentre lo Stato garantiva lo svolgimento di un comizio fascista. 
Su di lui ricadrà tutta la violenza poliziesca possibile, prima in piazza e poi in carcere, dove, nonostante le sue gravissime condizioni, verrà interrogato dal giudice e non riceverà cure. Due giorni dopo Franco muore tra le mura delle carceri, tra le mura delle istituzioni. Cercheranno subito di insabbiare il tutto chiedendo di seppellire il cadavere evitando l'autopsia. Le carte parlano di causa accidentale di morte. 
Ma le strade tornano ad affollarsi per celebrare il compagno Serantini, per dire con chiarezza che è lo Stato il responsabile di questa morte. Che Franco non è morto, Franco è stato ucciso.
Ed è bene ricordarlo per cosa è morto Franco, in un periodo storico in cui spiccioli commentatori si riempiono la bocca di frasi fatte, estrapolandole e decontestualizzandole. “Il fascismo degli antifascisti”, questo mantra con cui abilmente politici e non, si scrollano di dosso ogni responsabilità, scambiando il fascismo con la democrazia, e la resistenza con il fascismo. 
Franco è morto per la libertà, è morto per la liberazione degli oppressi, contro lo Stato, contro il fascismo, che si combattono con la lotta e la solidarietà.
Ce lo ripetiamo ogni anno, ma forse anche lui avrebbe detto la stessa cosa, e infatti riprendo le sue stesse parole, comparse in un volantino “si possono colpire gli anarchici ma non la lotta...non si può colpire l'ideale anarchico perché esso resisterà sempre fino a che vi sarà uno Stato, uno sfruttatore, uno sfruttato, una diseguaglianza sociale.”
Dicono che Franco sia morto! Eppure a noi è sembrato di vederlo ancora, insieme a noi, ad ogni manifestazione, ad ogni presidio, ad ogni occupazione. Ci è sembrato di sentirlo parlare alle nostre assemblee, di urlare insieme a noi ai cortei, ci è sembrato di trovarlo ancora al nostro fianco in ogni lotta.
Perché un compagno non muore mai, Franco vive, i morti siete voi!
Paola Imperatore

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